Un libro, il crimine,la criminologia
TREVI – “Un bambino da fare a pezzi”. Rapimento e liberazione di Augusto De Megni. Un libro di Alvaro Fiorucci, giornalista della sede regionale Rai e cronista di nera e di giudiziaria. Nel volume di 215 pagine, edito dalla Morlacchi di Perugia e presentato sabato scorso a villa Fabri di Trevi, non c’è nessun finale a sorpresa. Lo sottolinea lo stesso Fiorucci il quale precisa che «non racconta la storia di Augusto De Megni, bensì quella di un sequestro di persona e delle indagini che hanno portato alla sua liberazione». La storia, infatti, è nota ed è tornata alla ribalta nel 2006, quando Augusto De Megni (oggi trentaduenne) partecipò e vinse il reality show de “Il grande fratello”. Alvaro Fiorucci, dunque, racconta gli snodi più importanti, i retroscena inediti ed anche i tanti personaggi che entrarono in gioco nella vicenda di venti anni fa. Un’inchiesta giornalistica ricostruita attraversa le carte processuali, piena di pathos, e narrata in modo brillante con lo stile di un maestro del giornalismo umbro. Subito dopo il saluto del vice sindaco Paolo Pallucchi che ha consegnato allo scrittore un attestato in segno di stima e d’affetto per il suo lavoro da cronista, ha preso la parola il criminologo Fabrizio Fornari, docente universitario. «Perugia accolse il sequestro -spiega Fornari- con freddezza, perché la famiglia De Megni era legata alla Massoneria». Ha parlato poi delle radici storico-sociali e delle diverse modalità d’azione della anonima sequestri sarda e di quella di origine calabrese che, tra gli anni 1980 e 1990 monopolizzarono questo tipo di delitti «riducendo l’uomo a una merce di scambio». Augusto De Megni fu rapito il 3 ottobre 1990, verso sera. Era un bambino di undici anni. Si trovava in casa con il padre Dino, noto uomo d’affari. Nascosti in cucina, i banditi agirono a viso coperto da passamontagna. Sono armati di pistole e fucili a canne mozze. Legano e imbavagliano il padre poi fuggono via col bambino.Dopo un’ora Dino de Megni riuscì a liberarsi, diede l’allarme, ma era troppo tardi, i banditi erano già lontani e cambiarono l’auto. Inizia la partita a tre: la famiglia, i rapitori e lo Stato. Passano quasi cinque settimane prima che i rapitori si facciano vivi, poi il 20 novembre il primo contatto. Fiorucci fa una rilettura analitica dei fatti attraverso le carte processuali. Esce una narrativa mozzafiato, scritta in stile brillante e col linguaggio del cronista del nostro tempo. «In questo libro sono raccontate –dice l’autore- tante curiosità e fatti nuovi che all’epoca non furono valutati nella loro giusta dimensione». Qual è un fatto inedito che ti ha particolarmente colpito? «In particolare mi hanno colpito due fatti:_ uno riguarda la massoneria, nel senso che il nonno di Augusto era un grande esponente della massoneria internazionale e durante il sequestro rischiò di essere truffato per tre miliardi delle vecchie lire da tre grandi maestri della massoneria. L’altro elemento singolare che ho scoperto indagando per scrivere il libro è che spesso le interviste dei familiari che erano rilasciate a me per il Tg nazionale erano le risposte che essi davano alle richieste dei sequestratori che ponevano dei requisiti attraverso delle lettere. Lettere fatte recapitare a tre preti e dalle quali pretendevano un riscontro in televisione, in modo specifico attraverso dal Tg 1 delle ore venti. Pertanto, sono stato un tramite inconsapevole e l’ho scoperto dopo venti anni». Il protagonista della vicenda ha già letto il libro? «Non lo so, perché non ho avuto modo di chiederglielo. Di sicuro, invece, so che lo hanno letto il padre e il nonno, entrambi co-protagonisti della vicenda. Mi hanno fatto pure i complimenti, anche se con loro non sono stato tenero». Pensi che lo leggerà? «Se ve lo ricordate,quando era nella casa del “grande fratello” parlò solo un paio di volte e in modo defilato del sequestro. Alla fine si pose una sola una domanda: “Chi può dirlo che senza quella storia sarei quello che sono?” Questo è anche l’interrogativo con il quale si chiude il mio libro». Scrivi di giorno o di notte? «Scrivo prevalentemente di notte, non perché suggerisca ispirazioni particolari, semplicemente perchè ho più tempo». Si dice che per scrivere un buon libro occorrono almeno tre stesure. Tu quante volte hai revisionato il testo? «Questo libro ha visto quattro, forse anche cinque stesure, perché man mano acquisivo nuovi elementi ricomponevo ogni volta la storia. Chi l’ha esaminato l’ha definito un lavoro compiuto». In Italia si legge o i libri restano chiusi nella loro gabbia dorata? «Nel nostro Paese si legge pochissimo, soprattutto i libri che nascono in Umbria da autori sconosciuti come me». Perché? «Perché è difficile che un lettore si avvicini ad uno scrittore non già di successo. In pratica, non è il lettore che deve scoprire l’autore, bensì viceversa.Questo però non dipende né dall’autore né dagli editori. Dipende dalla struttura dell’editoria locale, che non ha mezzi per promuoversi e uscire dai confini regionali».