B.R.: le iniziali che trasformarono il rapinatore in brigatista
In fondo alla mezza paginetta con la quale chiede un miliardo di lire per evitare una strage c’è la sigla “B.R”. Brigate Rosse? No, semplicemente le iniziali del suo cognome e del suo nome, ma ci vorrà del tempo per leggerle nella maniera giusta. La minaccia funziona e il latore del messaggio esce dalla banca con un acconto di 148 milioni. Il resto glielo consegneranno più tardi, nel posto concordato, senza far parola con la polizia: se qualcosa va storta i suoi complici completeranno il lavoro facendo saltare in aria l’intera filiale. Tutto gli va storto: lo arrestano mentre si allontana a piedi dal centro storico con il fagotto di banconote che gli avrebbero dovuto assicurare un futuro se non da ricco, da tranquillo benestante questo sì, stretto sottobraccio. È l’avventura fiorentina di un cinquantenne che ai primi degli anni ottanta del secolo scorso è sui giornali in qualità di “rapinatore solitario di Foligno”. C’è finito con un certo rilievo perché il fatto viene assunto a paradigma dall’ insicurezza diffusa in quel periodo storico dalle azioni terroristiche. E resterà nei titoli per diverso tempo perché almeno duecento suoi concittadini firmano una petizione in suo favore. Ma quale terrorista, ma quale rapinatore: lo stato di necessità in cui versa l’ ha fatto sbroccare; doveva salvare la sua azienda, ma nessuno si è fatto avanti per aiutarlo. Si è ritrovato solo: solo davanti al precipizio economico, solo a rapinare armato di un pezzo di carta firmato con due lettere. Un gesto di affetto che ovviamente non fa cambiare opinione agli inquirenti e non la farà cambiare ai giudici. “B.R” è un perugino che ha aperto una bottega di vini a Foligno. Un’attività con alti e bassi che allo svoltare del decennio scivola verso un dissesto finanziario di piccola entità, ma che gli appare irrimediabilmente letale. Cerca prestiti, rischia di finire in mano agli strozzini. Decide di tentare il tutto per tutto mettendo a punto un colpo immaginato come il colpo di una vita, il colpo risolutore. Si trasferisce a Firenze e punta la Banca Commerciale. Butta giù uno schema operativo e se lo impara a memoria. Scrive un foglio di minacce, lo mette in una busta e chiede udienza al direttore dell’istituto di credito. Che lo riceve perché è un cliente. Il direttore apre la busta, spiega l’A4, vede la sigla ed equivoca. Tratta. Per “B.R” al momento ci sono solo 148 milioni del miliardo che chiede per non ordinare ai suoi complici che non ci sono, ma viene preso sulla parola, di innescare gli ordigni con i quali il suo inesistente commando aveva minato l’intera sede bancaria. Il grosso, gli promettono, lo prenderai dopo, diamoci un appuntamento. Preso il malloppo, comunque consistente, trascina il dirigente, Antonino Masala, dentro un’auto di servizio della Banca Commerciale perché allontanarsi insieme sarebbe passato inosservato. E così avviene. Fatto qualche chilometro il commerciante creduto brigatista libera l’ostaggio e gli lascia la macchina per tornare in filiale. Poco dopo “B.R” , terrorista o bandito, è ricercato con priorità assoluta. Lo bloccano che passeggia ostentando tranquillità per un vicolo che esce dal centro storico. Il 13 maggio 1981 il tribunale lo condanna a quattro anni e sei mesi. I giudici hanno ascoltato i suoi avvocati insistere sullo stato di necessità respingendolo come possibile attenuante. E le duecento firme spedite dall’Umbria sotto una sorta di supplica che affermava “è un onesto lavoratore”, “ è un bravo padre di famiglia” , “stava per perdere tutto”, vengono apprezzate, ma non per tenerne conto nella stesura della sentenza. ( da il Messaggero)