Amanda Knox, Netflix e l’omicidio di Meredith Kercher
di ALLAN FONTEVECCHIA-Scrive Renato Franco su Corriere. it: “In realtà il doc (“Amanda Knox “, diretto da Rod Blackhurst e Brian McGinn, su Netflix dal 30 settembre) non risolve il giallo. Ognuno dei protagonisti porta una sua verità, una verità soggettiva. La cui somma però porta a un’altra verità soggettiva ,quella che lo spettatore si vuol raccontare”. Luigi Bolognini per Repubblica.it chiude il suo commento così: “ Questo prodotto deve essere visto anche solo, per guardare da vicino dentro la macchina della giustizia e di come le leggi, i processi, le indagini gli articoli, le accuse e le assoluzioni siano comunque in mano a esseri umani senzienti e spesso fallibili”. La Stampa, con Luca Dondoni : “ E comunque tutte le tv che abbiamo visto sono uguali: un gruppo di persone che si scambia opinioni su un omicidio stando sedute in uno studio, sorridono i registi. La verità sull’ omicidio? Non cercatela in questo documentario. Qui si parla del caso mediatico. In fondo di tutti noi”. Sono recensioni che confermano un dato di fatto: intorno all’omicidio di Meredith Kercher avvenuto a Perugia nel 2007 sembra proprio che non ci siano fatti da aggiungere , non ci siano verità altre da cercare, non ci siano sentenze da ribaltare. C’è un solo colpevole ( il condannato in concorso Rudi Guede). Ci sono due ex coimputati (Amanda Knox e Raffaele Sollecito) che sono stati definitivamente dichiarati non colpevoli .Assolti con il bollo della Suprema Corte di Cassazione. Hanno ragione i giornalisti: Blackhurst e McGinn non potevano far altro che restituirci la storia del delitto di via della Pergola con una narrazione televisiva con i protagonisti che dicono la loro, con i documenti processuali che parlano e non solo in senso figurato, con un copione che si è composto anno dopo anno in cinque anni di lavoro.. Altro non potevano fare. E fare altro, al momento non appare tra le cose di un futuro più o meno prossimo, e in fondo non è neanche il loro mestiere. L’ approdo è comune, nella sostanza, all’ approdo di chi anche con altri mezzi ( il libro “Reperto 36, anatomia dell’omicidio di Meredith Kercher”, Morlacchi editore, è tra costoro) e da angolature diverse, ha tentata la rilettura del caso da una posizione non di parte. Da una posizione terza. Non da giudice , ma da da una posizione di osservatore terza. Si diceva di “ Reperto 36”, ma il discorso sembra valere per tutti coloro che per le ragioni più diverse si sono confrontati senza partito preso con queste indagini e con i processi conseguenti, , giunge a conclusioni molto simili a quelle degli autori del documentario “Amanda Knox “. Le conclusioni che si possono desumere ora, senza aver visto il documentario, e soltanto da quello che di commento è stato fino ad oggi letto, sono identiche nella sostanza a quelle conosciute del libro . E per le cose sopra accennate non poteva essere altrimenti: dopo tanti colpi di scena, veri o presunti, colpi di scena addio. Tutta la vicenda è lo specchio del nostro sistema giudiziario, delle sue procedure, delle sentenze che si smentiscono, dei tempi che si dilatano . A sua volta il sistema giudiziario è lo specchio della civiltà e della società che l’ha prodotto. Il delitto Meredith non è stato mai lo specchio di una città: lo è stato semmai di un intero paese. Il viaggio attraverso le sentenze operato da “Reperto 36” questo aspetto lo sminuzza in particelle che alla fine ricompongono l’atomo “giustizia italiana”. E la verità che il sistema giudiziario alla fine ricompone non scalfisce la compattezza dei partiti dei colpevolisti ( che maggioritari, testardamente, restano fermi nelle loro convinzioni) e degli innocentisti ( che, minoritari hanno i loro convincimenti premiati dal giudizio definitivo). Per via forse, in generale, della consapevolezza che non sempre c’è identità tra verità dei fati e verità giudiziaria. Concordanza anche sul fatto che questo è stato il caso con la più ampia (globale) e insistita ( giorni e giorni) attenzione mediatica. Attenzione che non può non essere stata avvertita nei pressi delle aule di giustizia ( anche in prossimità della politica estera e interna). E poi Amanda, al centro della scena anzi al centro di tutto con il suo nome che diventa titolo.. Perché è Amanda la persona che istintivamente buca ogni narrazione per diventarne il personaggio principale. Il documentario realizzato per Netflix affronta un tema che il libro invece ha appena sfiorato: il lavoro e il comportamento dei giornalisti. Il reporter del Daily Mail Nick Pisa è stato scelto per rappresentare la categoria. E anche questo farà discutere.