mercoledì, Maggio 17, 2023 Categoria: Senza categoria

Sisde, mezze verità sull’omicidio Pecorelli?

Una bugia per nascondere il tentativo di depistare le indagini sull’omicidio del giornalista Mino Pecorelli, Roma, 20 Marzo 1979. Una foglia di fico che non sta su  e la procura di Perugia chiede, ottenendolo, l’arresto di  due 007 del Sisde, il servizio segreto civile e  un loro collaboratore è indagato, per false dichiarazioni al pubblico ministero. Il questore Mario Fabbri, capo del centro Roma 2, il suo vice, il colonnello Giampaolo Paoletti vanno in carcere il 14 marzo 1995 e furono scarcerati il 7 aprile successivo. Un collaboratore esterno, un sottufficiale,  Vittorio Faranda è  pure sotto inchiesta , ma evita la cella.  Colpiscono in alto  Fausto Cardella e Alessandro Cannevale con il visto del giudice  Sergio Materia. E la cosa fa rumore anche per  il caso di cui appare un’appendice. Tra gli  accusati dell’omicidio del direttore di Op ci sono già Giulio Andreotti, Claudio  Vitalone, Pippo Calò, Gaetano Badalamenti, Massino Carminati e Angelo La Barbera, che da soli di rumore ne fanno parecchio. Inestricabile intreccio, di politica, mafia e criminalità romana . Gli agenti segreti furono interrogati su diversi aspetti  che ruotano intorno ad un nucleo centrale: i colloqui in carcere degli anni ’80 con Danilo Abbruciati e Renato De Pedis , due pezzi grossi della cosiddetta Banda della Magliana. Sospetto inquinamento delle indagini perché tra gli accusati per il delitto di via Tacito c’è uno di loro, l’ex Nar  Massimo Carminati. E sarebbe un bene, per chi tiene le redini della consorteria, tirarlo fuori. Questa è l’ipotesi dell’accusa l’accusa.  Ipotesi  che sembra inserirsi senza sbavature negli ambienti non sempre limpidi con i quali gli inquirenti hanno fatto i conti per anni.- E durante un  interrogatorio alla fine ammettono: sì li abbiamo incontrati a Rebibbia, ma non per interferire sull’inchiesta perugina, ma per avere informazioni sugli eventuali collegamenti tra il terrorismo nero e il gruppo di De Pedis e altri. I magistrati non ci credono e comunque c’è il reato commesso in precedenza, la bugia sull’ingresso in carcere negato e poi ammesso  dagli uomini del Sisde . Per questo in sostanza vengono rinviati a giudizio.  Il lungo processo per l’omicidio di Mino Pecorelli, alla fine scagiona tutti, Poi ci sarà la  condanna in appello per Andreotti e Badalamenti (24 anni ciascuno)  e quindi la Cassazione che le cancella definitivamente. Per i tre 007, invece, il 13 luglio 1996 , dopo sei ore di Camera di consiglio c’è la sentenza  che riconosce la giustezza dell’impianto investigativo. Il questore Mario Fabbri e il colonnello Giancarlo Paoletti sono  condannati a otto mesi , il collaboratore esterno Vittorio Faranda a sei mesi. Insorgono le difese. Che vedono da una  parte il peso  di “ ragioni extraprocessuali” e dall’altro il mancato  coraggio dei giudici di assolvere gli imputati, visto che hanno sforbiciato le  richieste della pubblica accusa, pene per complessivi due anni e nove mesi.      Vittorio Faranda per la sua attività era finito nell’agenda della Brigate Rosse. Piano non portato a termine  perché, pare , che l’abbiano giudicato “ non pedinabile ”. Al processo d’appello il 19 settembre 2001 la pubblica accusa chiede per tutti pene più severe: un anno e quattro mesi per Fabbri e Paoletti, un anno per Faranda. La Corte  invece ribalta tutto con tre assoluzioni con formula piena “per non aver commesso il fatto”. Il procuratore generale è di diverso avviso e ricorre al grado superiore di giudizio. Luglio 2002 la Cassazione conferma la decisione assolutoria per Faranda e rinvia gli atti per un nuovo esame alla Corte d’Appello di Firenze. E a Firenze il caso si è chiuso confermando le assoluzioni del secondo grado perugino.

(daIlMessaggero)

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