lunedì, Dicembre 10, 2012 Categoria: Senza categoria

Vite a perdere :a Narni il racket ordina la morte

La brutalità, i segni di sfregio, le tracce suggestive di tortura, che parrebbero  leggibili sul cadavere della giovane prostituta nigeriana ammazzata a Stifone di Narni sabato- o tra sabato e domenica scorsi- potrebbero indicare che la pista da privilegiare è quella dell’esecuzione di una sentenza , della punizione per uno sgarro, della condanna decisa da chi ha potere di vita e di morte su questa come sulle altre  vite a perdere costrette a produrre profitti  lungo le strade, dietro gli anfratti, dentro le macchine dai vetri appannati. Sembra essere stato un padrone l’esecutore. Un padrone che si è preso quella vita anche per dare un segnale di morte ad altre vite che controlla, sfrutta e tiene prigioniere. Sono il suo capitale. Non può perderne neanche un pezzo. Forse la ragazza di Stifone ha avuto comportamenti  riconducibili a termini come liberazione,fuga, autonomia, ribellione. Con questi ha firmato la sua condanna a morte. Difficile ipotizzare al momento che il laccio di borsetta introno al collo, i piedi legati,la vita forse stretta ad al tronco di un albero, indicazioni di sevizie, possano essere il frutto della mente malata di un cliente. E’ nel racket della mafia nigeriana dove la prostituzione e il volano del ricco traffico di  droga producono l’accumulazione primaria delle  enormi risorse economiche che poi vanno ad inquinare l’economia del loro e del nostro paese. La mafia nigeriana è particolarmente feroce. Sono particolarmente feroci anche le maman , le principesse, le emancipate diventate aguzzini per conto terzi. Se trovasse conferme l’ipotesi di una spedizione di morte decisa dal racket non si potrebbe escludere la presenza di una donna sulla scena del crimine. Sono le donne,talvolta che presiedono ai riti woodoo  con i quali specialmente le più giovani vengono tenute in condizione di totale soggezione. Le ragazze in genere vengono reclutate nei villaggi più poveri. Comprate per quattro soldi da famiglie che per miseria economica e umana fanno finta di non sapere. Se sono in buona  queste famiglie credono che la figlia   va incontro ad una vita migliore. E per questa prospettiva si indebitano per passaporto, viaggio, vitto e alloggio. Un debito che non riusciranno mai a saldare neppure con la prostituzione che puntualmente è la vera destinazione finale. Il debito originale è uno degli strumento di asservimento più forti. Un altro strumento è la violenza, in particolare contro ogni forma di ribellione. Sono migliaia ragazze straniere che si prostituiscono in Italia. L’l’Organizzazione internazionale per le migrazioni  stima tra 19mila e 26mila. Il  Gruppo Abele indica in circa 35 mila il numero delle prostitute non italiane.  Il venti per cento sarebbero minorenni, molte sono vittime di una vera propria tratta di esseri umani. Alimentano un mercato illegale che – secondo il Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza – è secondo soltanto al traffico di stupefacenti e di armi. Lo ricorda un servizio del Tgr dell’Umbria. Nello stesso testo si ricorda che alle ragazze restano soltanto le briciole del business del sesso a pagamento , mentre il rischio di finire male è altissimo. Come Tania Bogus, alias Natalia Serendt Jacob, moldava, appena diciottenne uccisa il 23 luglio del 2000 a Valtopia con ventuno martellate per essersi ribellata al suo sfruttatore. Il carnefice (Viktor Lala, nato a Valona, classe 1970) è stato identificato, ma mai arrestato.  Non ha invece un nome l’assassino di Ana Maria Temneanu, rumena, 20 anni, uccisa a Perugia in casa sua nel quartiere di Madonna Alta nel luglio del 2008. La ragazza venne prima colpita al volto e poi strangolata con un cordino.  Si prostituiva in strada per mandare i soldi ai tre figli in Spagna Beatriz Nilde Rodriguez, argentina di 46 anni. Nella notte tra l’otto ed il nove agosto del 2009, a Perugia, nella zona di Pian di Massiano, fu picchiata a sangue e poi colpita con un coltello: tre fendenti, uno mortale al cuore. Il corpo venne poi trascinato dall’auto del suo assassino.

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